“Ricomincio da tre”, è la citazione perfetta per introdurre il secondo episodio della rubrica “Lavorare con i Social Media“, scritto da tre giovani fanciulle, accomunate dagli studi archeologici e forgiate da anni di dura vita da cantiere. Dismessi gli scarponi antinfortunistici, si ritrovano grazie ai social media ad intessere una bella rete di relazioni e ad aggregare community di appassionati della cultura. Ecco chi sono e cosa combinano tutto il giorno in Rete.
Scavo ergo twitto
di Antonia Falcone
Cosa hanno in comune l’archeologia e il web?
La prima cosa che mi viene in mente è la dimensione fortemente sociale fatta di rapporti con le persone, di condivisione e di comunità, ed è per questo motivo che passare dagli strati di terra alle conversazioni online è stato naturale. Con un plus non indifferente del digitale: zero polvere, zero sole a picco e zero pioggia torrenziale.
La mia è una formazione da professionista ibrida a metà tra studio dell’antichità e comunicazione contemporanea fatta di social media, storytelling, visual e tutte le altre parole che i puristi dell’italiano non vedono di buon occhio.
Se mi chiedessero come mi piacerebbe vedermi in un futuro prossimo (facciamo tra i prossimi 6 mesi?), direi come formatrice o consulente di comunicazione archeologica, sarei cioè quella che ti spiega quali social utilizzare e come, che ti affianca quando decidi di raccontare il tuo scavo online, che ti consiglia di utilizzare PostPickr per schedulare i post, che ti mette online un sito in WordPress dove caricare i tuoi contenuti.
Ma pare che soldi per la cultura non ce ne siano tanti e quindi per ora faccio la copywriter e la Social Media Manager.
Scrivo, posto, programmo, carico immagini, mi aggiorno, leggo molto online e interagisco con altri professionisti.
Il mio curriculum da archeologa è piuttosto standard, laurea a Roma, anni di scavo sul Palatino come responsabile di settore, ore extra cantiere passate a compilare schede US e aggiornare i rilievi e poi diploma di specializzazione in Puglia, con in mezzo tre anni di vita da archeologa che guarda la ruspa per i cantieri della capitale.
A Lecce, fuori dalla dinamica di grande e caotica città, il tempo libero c’è e le ricerche online mostrano praterie inesplorate con balle di fieno che rotolano quando si cerca su Mr G “mestiere archeologo, professione archeologo, lavoro archeologo”. In Italia nulla, all’estero sì, ci sono siti web che raccontano tra il serio e il faceto cosa fa un archeologo.
Nasce così il progetto di Professione Archeologo, nel 2013 davanti ad uno spritz, con Domenica Pate come co-founder, un portale per parlare di archeologi (senza a finale). Siamo nel 2016 e il sito va a gonfie vele.
Nel frattempo nasce un’altra fissa, quella della divulgazione archeologica. E chi fa divulgazione in Italia? La famiglia Angela, Piero e Alberto. Come si concilia questa cosa con il digitale? Benissimo, perchè i sommi Angela sono celebrities online: post, pagine, gruppi, tutti a decantare la televisione di qualità.
E quindi mi sono detta e ho proposto ad Astrid, co-admin del gruppo: ci sono Beliebers, Onedirectioners, perché non lanciare un hashtag e cercare gli #Angelers? È nata così una community di appassionati di divulgazione (e di Alberto in special modo) che si confrontano su Facebook e su Twitter, commentando le puntate di Ulisse o gli speciali Rai.
In 2 mesi quasi 400 membri, un logo ufficiale disegnato da Giovina, un primo stock di t-shirt ufficiali e soprattutto un video di Alberto che saluta la community! Prossimo step: l’AperiAngelers.
Perchè dal virtuale al reale è un attimo.
Porto sui social l’archeologia con magolamagamagìa
di Astrid D’Eredità
La cosa più difficile è descriversi, parlare di se stessi.
In estremissima sintesi potrei dire che sono un’archeologa esperta di comunicazione culturale, con particolare attenzione al web: aiuto musei, scavi archeologici, soprintendenze, teatri, formazioni musicali a scegliere gli strumenti e i modi giusti per raccontarsi on line.
No, non me ne sono uscita dall’uovo di Pasqua, come dicono dalle mie parti. È che sono sempre stata appassionata di comunicazione e della Rete, dove ho provato quasi tutto (tranne le cose zozze, giuro). Quando c’era Splinder, per dire, avevo un blog sentimentale sotto nickname seguitissimo, ricevetti anche una proposta di pubblicazione di instant book da una casa editrice, ma non mi parve il caso.
Cominciamo dal principio: ho nome nord europeo e cognome arrivato non si sa come dalla Spagna a Taranto, terra di dove finisce la terra. I miei genitori hanno salde radici nel Sud Europa, nonostante ciò sono portatrice di attitudini caratteriali che negli anni mi hanno fatto guadagnare il curioso appellativo “a’ tedesck” (che sospetto in conversazioni private e pettegole equivalga a molto peggio). Forse c’entra il fatto che bevo il cappuccino dopo pranzo e che per un bel po’ sono stata biondastra, non so.
Volevo fare il linguistico ma a 13 anni non avevo molta voce in capitolo e fui spedita al classico, “perché è la formazione più completa” ma anche in virtù di una certa mia fissa per le cose antiche palesatasi molto presto. Poi laurea, specializzazione a Bari e dottorato di ricerca a Napoli, un po’ di tempo a Berlino (sta madrepatria che tutti mi attribuivano dovevo andare a vedere com’era, no?), e tanti tanti cantieri di scavo tra la Puglia e Roma, la città in cui ho scelto di vivere.
E nella capitale dell’Impero ho avuto la fortuna di entrare in un giro fatto di web agency, di un’azienda mastodontica come Enel, acceleratori di startup, gente che parlava in html. Ho curato reengineering di grandi siti, imparato la vita quotidiana in azienda e ficcato il naso in progetti digital di ogni tipo: la curiosità spingeva a premere furiosamente sull’acceleratore e il contatto con persone esperte mi ha aiutata a non uscire troppo spesso di strada.
Ho imparato molto, sperimentato molto, ho sbagliato altrettanto.
A un certo punto ho pensato di unire i miei due mondi e ho iniziato a occuparmi di archeologia su Facebook, prima ancora che il caro Mark introducesse le brand page: per un’associazione di archeologi ho creato e curato una grande community e poi una pagina, prima in Italia all’epoca per creazione e risultati.
Mi piaceva, moltissimo. E ho avuto voglia di un progetto editoriale nuovo, mio, non in conto terzi.
Così è nato ArcheoPop, che tra sito e tanti account social è diventato in poco più di un anno un bel punto di riferimento in Rete per gli appassionati di archeologia. Ma da grandi successi derivano grandi responsabilità (semicit.), così dopo un buon numero di tentativi con altri tool ho trovato il mio principe azzurro in PostPickr.
E George Patoulidou, il mio gatto rossissimo, è stato nominato sua mascotte ufficiale. Che orgoglio!
Dalla trowel allo smartphone e ritorno
di Giovina Caldarola
Non ho mai avuto una chiara e lucida idea di “cosa avrei fatto da grande”.
Di sicuro votata alla narrazione, con almeno cinque Smemoranda a fisarmonica, testimonianza del tempo passato a non studiare. Per il resto mi piaceva fare praticamente tutto ciò che includesse la socializzazione: già fomentatrice di folle, organizzatrice di feste e ogni impiccio sociale che gli altri scansavano e invece “Lo fai tu no? Che a te piacciono queste cose, sei brava”.
Erano gli albori.
Sospinta nella musica classica con lo studio del pianoforte, come i grandi abbandono all’apice della carriera. Forse diventare fumettista Disney era l’adolescenziale sogno nel cassetto e invece ho sviluppato amore per arte, architettura, storia, beni culturali.
L’archeologia è stato un casuale corollario: mai visto un film su Indiana Jones (al massimo leggevo Indiana Pipps), da sempre avversa alle piramidi, mai stata in Grecia. Di Piero Angela, già mito apripista per il venerato figliolo (vedi #Angelers), adoravo i cartoni di SuperQuark sui comportamenti sociali.
Quindi, nell’agosto 1998, quando dinanzi alla segreteria studenti della facoltà di Beni Culturali di Lecce mia madre mi vide puntare il dito ad occhi chiusi sull’elenco dei quattro corsi di laurea, ebbe un sussulto e biascicò un’Ave Maria. Mi fu assegnato il numero di matricola 1000: un segnale. Accompagnata da un Padre Nostro, l’iscrizione al corso di Archeologia fu compiuta.
Mai scelta casuale mi avrebbe così segnata. Tutti adorano l’archeologia, quella che “Beata te, era il mio sogno! Adoro Indiana Jones! Sono stato tre volte a Pompei! Hai scoperto un dinosauro? Hai trovato il tesoro? Scavi le fosse dei morti?”.
Ma l’archeologia, specie quella sul campo, è un’altra cosa.
Capisci subito se è amore o no: ti coinvolge talmente tanto che diventa il tuo stile di vita, il tuo modo di pensare, di ragionare, di interfacciarti. Ti entra nel sangue, diventa un modo di essere, ti fa viaggiare, insegna a saperti adattare e a convivere con chiunque, ovunque e in ogni situazione (anche senza i servizi primari). Ti fa conoscere gente, tanta gente.
Grazie all’archeologia ho sviluppato qualunque abilità fosse in me sopita: la scrittura, il disegno, la logica, la curiosità, l’amore per la tecnologia e per il web, in una ormai evidente identità multitasking.
La mia sorpresa è stata grande quando, con l’avvento della comunicazione culturale sul web prima e sui social media dopo, ho ritrovato tante persone che avevo conosciuto, o semplicemente incrociato, nel mio lungo cammino archeologico, molte convertitesi alla divulgazione online (per non annoiare più gli amici a cena con dissertazioni sulle Catilinarie o sulla Cloaca Maxima) e spontaneamente ne sono nati confronti, conforti, collaborazioni e amicizie.
Tra queste, quelle con Antonia ed Astrid. Le nuove conoscenze invece, sono quelle che mi hanno sospinto su una strada dove abilità personali si mescolano a progetti fantastici i quali diventano terreno fertile per nuovi legami di amicizia: il conterraneo team di Postpickr non solo ha donato all’umanità un fantastico tool per la salvezza mentale del Social Media Manager, ma ha riunito tutti gli users in una community dove collaborazione e condivisione fanno da padrona: perchè l’unione fa la forza.
Oggi riverso il mio bagaglio di esperienza culturale, sociale e tecnologica sui social media in diversi progetti che fanno da contorno all’attività lavorativa di comunicazione web del quale mi occupo, come la fondazione – e gestione – de La Capagrossa, il primo coworking comunale della Puglia.
I social media sono stati la mia salvezza, la mia rinascita, il luogo dove ho ampliato a dismisura la mia rete sociale, dove cresco e mi accresco ogni giorno. Ed è il mio mondo meravigliosamente meraviglioso, dal quale talvolta staccare un po’ e passeggiare al parco, non fa mai male.